
con Alice Conversi
(Lucia)
Carl Rosembert
(Klaus)
Francesco
Puccini (Sten)
Oliviero
Scassaterra (Gregor)
Olga
Principeschi (madre di Lucia)
Oscar (il cane)
Scritto e diretto da Alice Conversi
Sceneggiatura di Alice Conversi e Piergiorgio Franzi
Fotografia di Claus Meyer
Montaggio di Ottilio Gironi
Musica di Enzo Corioni
Scenografia di Mariella Conti
Costumi di Michela Ferzeri
Anno di uscita: 1997
Genere: drammatico
Lingua: italiano, tedesco
Paese di produzione: Italia, Germania
Produttore esecutivo: Michele Munzi
Casa di produzione: Filmema Studio, Kaspar HauserProduction
Distribuzione: PiGreco Distribution.
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DIETRO AL POZZO IN PIETRA A VISTA (1997)
TRAMA
Aprile 1965. Un furgoncino Westfalia giallo con a
bordo 3 giovani tedeschi arriva inaspettato nel cortile di un casale
della pianura bolognese. Per l'ancora giovane e illibata Lucia,
proprietaria del casolare, rappresenta un tuffo nel passato quando,
appena dodicenne, si innamorò di un soldato "ricoverato" nel 1945
nel loro casolare, allora adibito a infermeria per soldati nazisti.
Finalmente può manifestare tutto il suo amore al bel Gregor, che
però è arrivato con ben altre intenzioni. Sulla strada del ritorno per
la Germania, amori e vendette si intrecceranno fino ad un finale
crudo e solo apparentemente risolutivo.
Avevamo conosciuto Alice Conversi
con "La commessa del commendatore" - film
d'esordio applaudito più dalla critica che dal pubblico - e ne avevamo
apprezzato lo stile registico, ricercato senza essere ridondante.
Con "Dietro il pozzo in pietra a vista" la Conversi, figlia di quel Renato
Conversi esponente della rinascita del cinema italiano negli anni '60, racconta
con piglio neorealista uno spaccato d'Italia costretta a fare i conti con un
passato recente e doloroso.
Fin dalla prima immagine - un
primo piano significativo del viso della giovane Lucia che vede arrivare in
lontananza un furgoncino Westfalia giallo - la regista ci rende partecipi della
fermezza e del coraggio con cui la protagonista deve e dovrà affrontare la
realtà, un tempo nutrice di illusioni e speranze, ora carica di repressa voglia
di riscatto. Ancor prima di farci conoscere gli eventi che la porteranno in una
sorta di on the road in compagnia di
3 giovani tedeschi, la regista sceglie di puntare l'obbiettivo sul suo corpo
affaticato dal lavoro nei campi, con primi piani e dettagli che non si curano
di nascondere una vitale partecipazione femminile e femminista.
Non a caso è la regista stessa,
autrice del soggetto e della sceneggiatura, ad interpretare il ruolo di
Lucia,
una dark lady della bassa pianura bolognese la cui influenza dal cinema
noir
americano rimanda al Visconti di "Ossessione"
e necessariamente a James Cain e al suo romanzo "Il postino suona
sempre due volte". La scelta del bianco e nero, romantico ma mai
stilizzato, non fa che rinforzare l'ambizione
della regista, già messa in evidenza con il suo film precedente,
di nutrirsi e
nutrire la sua opera di Verga e neorealismo. La splendida fotografia di
Claus
Meyer usa la luce per staccare il paesaggio e farlo diventare
protagonista, in onore al verismo ma soprattutto al primo cinema muto
scandinavo.
Insomma, la giovane regista ha imparato
la lezione, e ora riflette sul cinema dei padri con la forza della narrazione,
tanto necessaria quanto liberatoria in questo cinema italiano di fine
millennio.
CRITICA ***** 3,72/5 ***** PUBBLICO
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