TOMBOY
Céline
Sciamma
Regia e sceneggiatura: Céline Sciamma
Attori: Zoé Héran, Malonn Lévana, Jeanne Disson, Sophie Cattani, Mathieu Demy
Paese: Francia ; Durata: 82 min ; Anno:
2011
Tomboy è il ritratto di Laure, dieci anni (Zoé Heran)
che si trasferisce con i genitori (Mathieu Demy e Sophie
Cattani) e la sorellina Jeanne (Malonn Lévana) in
un nuovo quartiere, dove non conosce nessuno. Presentarsi come un maschio,
Mikaël, la aiuterà a fare amicizia con i ragazzini della zona. Vivrà un legame
speciale con la coetanea Lisa (Jeanne Disson) finchè la
sua nuova identità non verrà inevitabilmente smascherata.
Céline Sciamma, regista e sceneggiatrice francese, è nata a Pontoise
il 12/11/1978. Dopo una laurea magistrale in letteratura
francese, frequenta la scuola
parigina di cinema La Fémis. Debutta alla regia nel 2007con Naissance des
pieuvres che viene premiato con
il Premio Louis-Delluc per la migliore opera prima e il Prix de la Jeunesse
al Festival du
film de Cabourg, viene nominato
invece per la migliore opera prima ai Premi César 2008. Nel 2011 vince il Premio della Giuria ai Teddy Award 2011 e il Premio Ottavio Mai e Premio del pubblico al
Torino GLBT
Film Festival per il suo secondo
lungometraggio, Tomboy. È stata legata sentimentalmente all'attrice Adèle Haenel,
protagonista del suo primo film e di Ritratto
della giovane in fiamme.
Da un’intervista del 2011 a Céline
Sciamma, di Fabien Lemercier:
Che cosa l'ha spinta a lanciarsi in Tomboy?
Avevo questa storia
in testa, o almeno la situazione di partenza, da due o tre anni, ma non pensavo
che sarebbe stato il mio secondo film. La spinta è stata quella di fare un film
molto presto, di girare immediatamente. Ho pensato che questa storia fosse
ideale per avere questa energia, per rispondere a queste esigenze di produzione
e per realizzare un film leggero. E desideravo trattare l'infanzia, fare un
film solare e dinamico, con diverse sfide da affrontare dal punto di vista
della regia. La logica mi spingeva verso un film più pesante, quattro anni dopo
un'opera prima che aveva avuto abbastanza successo da darmi il diritto di
rimettermi in gioco. Ma ho voluto rispondere a questa pressione in un altro
modo, lavorare nell'emergenza, vivere l'utopia che si possa fare cinema quando
si ha voglia e avere una storia che soddisfacesse il mio interesse per le
questioni dell'identità, del genere.
Perché è
affascinata dalla questione dell'identità?
È un serbatoio di
finzione davvero appassionante. Crea storie, una drammaturgia intorno alla
menzogna, al doppio gioco, la doppia vita, l'alterità, l'altro in sé: motori di
finzione molto forti. Ma quando dico identità parlo anche di Avatar di
James Cameron. All'improvviso, si crea una distanza da questo interesse intimo
che sicuramente ho e posso proiettarmi nella storia e nei personaggi.
Dopo i primi
palpiti dell'adolescenza in Naissance des pieuvres, parla di un'altra età di transizione, tra infanzia e
adolescenza.
È come un'altalena e
niente sarà più come prima: è il livello d'azione che mi piace. È così che amo
entrare nelle storie da spettatrice e come regista. Questo permette un lavoro
di identificazione, di empatia. E cerco sempre di pensare in termini d'azione,
anche se tratto tematiche intime.
Fino a che punto
desiderava fare un ritratto dell'infanzia?
La mia intenzione era
di collocare il personaggio principale nell'ambito delle sue relazioni, ma non
volevo fare una cronaca dell'infanzia. Il progetto aveva tre tracce: il
ritratto d'infanzia reso dinamico da una vera storia, e l'incontro fra i due,
una sfida dal punto di vista della messa in scena. Sono stata attenta a
sganciarmi dall'aspetto del dramma sociale perché volevo che ci fossero
sorrisi, risate, e lavorare sui contrasti. L'infanzia lo permette.
Quanto pesa
l'incoscienza nella doppia vita del personaggio principale?
Un quiproquo le
permette di cogliere un'occasione, anche se questa menzogna e questa falsa
identità non sono gli obiettivi primari. Ma ci sono anche cose che rientrano
nell'ordine del desiderio nascosto. Ho fatto in modo che il film fosse molto
aperto sulla questione. Alcuni potranno pensare che sia l'occasione a fare
l'uomo ladro e che sia soltanto un gioco, mentre altri si diranno che questo
problema d'identità si presenterà più tardi. A dire il vero, il film non dà
risposte.
La foresta è uno
spazio libero in cui la menzogna di Laure svanisce in opposizione alla vita
familiare nell'appartamento.
Fuori, c'è questo
spazio di finzione dove fa ciò che vuole. Volevo una natura accogliente,
rigogliosa. Fuori, lei respira. Dentro, si sente più confinata, ma non volevo
creare un'opposizione troppo binaria: allo stesso tempo, c'è il piacere di
stare con la sorellina, la tenerezza con il padre. È una doppia vita e lei ama
queste due vite, una delle quali è uno spazio in cui lei si reinventa.