Le registe pioniere del cinema muto
Prima che l’egocentrismo e la
megalomania maschile si arrogasse il diritto di governare l’intera filiera
cinematografica mondiale, quando il sonoro ancora non esisteva, c’era il cinema
muto.
A tirare le fila, a introdurre
tecniche e strumenti innovativi, c’erano soprattutto le donne: libere nel
pensiero e nella propria sessualità, senza tabù, forti e indipendenti fino a
quando il sonoro prima e le censure moraliste poi hanno reso l’industria cinematografica
uno spazio per soli uomini bianchi (e ricchi). Il cinema muto pullulava di figure
femminili importanti fino a tutti gli anni dieci. Queste donne contribuirono a
produrre, scrivere e dirigere la metà dei film tra il 1911 e il 1925. La filiera cinematografica non
possedeva ancora l’attuale connotazione. Los Angeles era ancora una terra
deserta e vi resterà fino a quando il sonoro iniziò ad affermarsi, facendo sì
che il cinema diventasse una vera e propria industria. Con la nascita della
Mecca del Cinema si è assistito ad una mascolinizzazione della regia, a
discapito delle grandi donne che avevano contribuito alla nascita di questa
industria. Da qui in poi il ruolo delle donne ha
subito una forte regressione, che si è aggravata man mano che la società andava
evolvendosi. E più Hollywood diventava il cuore del business del cinema, più la
presenza e l’influenza femminile in ruoli chiave andava diminuendo. Da questo
momento in poi, lo star system verrà “governato” quasi esclusivamente del
genere maschile.
Alice Guy Blaché è
stata una pioniera
del cinema e la prima donna della storia dietro la macchina da presa, con La
fléè aux chous (La fata dei cavoli) nel 1896. Si tratta
di un’illustrazione animata ‒ 20 metri di pellicola per la durata di 1 minuto e
30 secondi ‒ raffigurante una donna che alleva bambini in un orto di cavoli.
L’opera presenta caratteristiche comuni al cinema francese, elementi di magia che
si combinano con sprazzi di ironia e umorismo. Sebbene
fosse la prima regista e produttrice nella storia cinematografica, il nome
della regista non avrebbe mai avuto il risalto che invece hanno avuto i fratelli
Lumière e Georges Méliès. Eppure la sua influenza sulla produzione
cinematografica è stata importante, forse ancor più di Méliès. Autrice
di circa 1000 film (dal 1986 al 1920), le sue opere si contraddistinguono per
una forte vena comica al femminile. Nonostante abbia sperimentato altri generi,
la commedia è sempre rimasta una costante attraverso cui affrontare tematiche
legate alle dinamiche di coppia e in particolare al ruolo maschile e femminile.
Inoltre, nel 1902 Alice Guy realizza per la Gaumont dei
filmati con registrazioni sonore sincronizzate, che vennero chiamati phonoscènes.
Anche grazie a lei possiamo dire che il cinema non è mai stato realmente
“muto”. Pur mancando dialoghi, le pellicole presentavano sempre elementi
sonori.
Lois Weber
fu una delle più importanti registe del cinema muto americano, oltre ad essere
considerata all’epoca una delle ‘tre grandi menti’ dell’industria insieme
a Griffith e DeMille. Fu la prima
donna a girare film sonori e nel 1916 divenne la regista più pagata di
Hollywood. La sua presenza nel cinema fu lunga, più di 25 anni, durante i quali
diresse e sceneggiò più di quaranta film e centinaia di cortometraggi. Le sue
opere si caratterizzano per temi che sono ancora oggi più o meno attuali come
la pena di morte, la tossicodipendenza, l’emancipazione femminile e la
contraccezione.
Elvira Notari (1875 –
1946) è stata la pioniera
del cinema muto italiano. Fu un’intraprendente regista
napoletana che tra il 1911 e la fine degli anni Venti sceneggiò, produsse e
diresse qualcosa come sessanta lungometraggi e un centinaio di corti. Insieme
al marito Nicola fondò la Dora Films, una casa di produzione
cinematografica a conduzione familiare che produceva cinema popolare, e insieme
al figlio Edoardo, presente sempre nei suoi film nel ruolo di Gennariello, portò
al successo soggetti incentrati sulla letteratura napoletana. Elvira
Notari porta in sé la forza morale tipica della gente del Sud. Infatti, era lei
a contrattare con i noleggiatori e i proprietari di sale cinematografiche (con
non poche difficoltà, essendo donna). La sua abilità con la macchina da presa
era senza eguali. Si contraddistingue per il succedersi delle inquadrature e
dell’utilizzo della luce. Il suo tocco magico con la macchina da presa fu
apprezzato anche dalla critica. Le sue opere erano originali e si caratterizzavano
per quella quotidianità che andava oltre ogni sceneggiatura. Le tematiche
affrontavano la vita di tutti giorni di quella classe sociale povera che
popolava i sobborghi. Anche per questo non ebbe vita facile nel fascismo, il
cui cinema doveva “risiedere” solo a Roma, e non doveva mostrare le debolezze,
la miseria (anche morale) e le contraddizioni di un’Italia povera. La
Dora Films venne esportata anche in America, apprezzata soprattutto da
quegli immigrati che ritrovavano in quei film la realtà che erano stati
costretti a lasciare.