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   Florestano Vancini                                                                                                           La banda Casaroli

Schede
registi e
film


Mario Monicelli: il padre della commedia all'italiana

Elio Petri: il cinema di qualità al servizio dell'impegno politico

Pietro Germi: vizi e peccati della provincia italiana

Marco Bellocchio: il cinema gridato

Dino Risi: cartoline dall'Italia che cambia

Florestano Vancini: la storia in forma di cronaca

Antonio Pietrangeli: ritratto al femminile

Ettore Scola: viaggio tra sogni e speranze




Florestano Vancini

 La storia in forma di cronaca

Florestano Vancini

  

   Florestano Vancini, regista e sceneggiatore cinematografico italiano, è nato a Ferrara nel 1926 ed è morto a Roma nel 2008.

   L'amore per la terra natale, specie per il delta del Po, ha animato i suoi esordi, mentre tutta la sua carriera è stata caratterizzata dall'interesse per i temi storico-politici. Dopo alcuni pregevoli documentari (Alluvione, 1950; Il delta padano, 1951; Uomini soli, 1959) esordì nel lungometraggio con La lunga notte del '43 (1960, tratto da un racconto di G. Bassani e premiato alla Mostra del cinema di Venezia quale migliore opera prima).

   Tra i film di questo periodo, in cui nei momenti migliori è riuscito a coniugare l'osservazione realistica e l'impegno politico con le qualità spettacolari, si ricordano: La banda Casaroli (1962); Le stagioni del nostro amore (1965, vincitore al Festival di Berlino del 1966); Bronte - Cronaca di un massacro che i libri di storia non hanno raccontato (1972), in cui denuncia come una macchia sull'epopea garibaldina del 1860 la spietatezza di cui i 'liberatori', guidati da Nino Bixio, diedero prova nella repressione della rivolta contro i proprietari terrieri scoppiata in quel centro agricolo del catanese. Il successivo Il delitto Matteotti (1973), focalizzato sul consolidarsi della dittatura fascista dopo il rapimento e l'assassinio di G. Matteotti, ha costituito la conferma dell'impegno politico di Vancini.

   Lontani dall'asciutto impianto delle due opere precedenti, ma al tempo stesso privi di un efficace rinnovamento artistico, sono risultati Amore amaro (1974) dal racconto Per cause imprecisate di C. Bernari, e Un dramma borghese (1979) dal romanzo di G. Morselli, entrambi incentrati su tormentate passioni, La baraonda - Passioni popolari (1980) sul mondo del ciclismo, e La neve nel bicchiere (1984) tratto dal romanzo di N. Rossi, sulle vicende di una famiglia di contadini dalla fine dell'Ottocento agli anni Venti.

   In seguito Vancini si è dedicato all'attività televisiva, realizzando tra l'altro le serie La piovra 2 (1986), Piazza di Spagna (1993) e Ferrara (1995).

   Tornato alla regia cinematografica dopo 21 anni con E ridendo l'uccise (2005), lungometraggio ambientato nella corte degli Este della Ferrara del Cinquecento,
veva egli stesso presentato questa pellicola come il suo ultimo lavoro.


La banda Casaroli

 
La banda Casaroli

 

Regia

Florestano Vancini

 

  

Interpreti

Renato Salvatori, Gabriele Tinti, Jean-Claude Brialy,
Tomas Milian, Mariella Zanetti

 

Sceneggiatura

Florestano Vancini, Federico Zardi

 

Produttore

Dino De Laurentis

  

Italia, 1962, b/n, 100 min

PAOLO CASAROLI
IL BANDITO "EDUCATO" DALLA GUERRA
(di Paolo Deotto)

   Bologna, sabato 16 dicembre 1950, alle ore 13.40 gli agenti di Pubblica Sicurezza Giuseppe Tesoro e Giancarlo Tonelli si fermano per un controllo in via San Petronio Vecchio, al numero 44. L'appartamento di Casaroli è al pianterreno, prima porta a destra nell'androne. Bussano, e viene ad aprire la sorella di Paolo. Dice di attendere un attimo, poi invita Tonelli ad entrare. Tesoro è rimasto al portone. Casaroli sta pranzando tranquillamente con Ranuzzi, Farris è invece nella sua stanzetta nel sottotetto. Tonelli conosceva già Ranuzzi, lo aveva arrestato qualche anno prima, ma non si aspettava di trovarlo lì; invita quindi entrambi a seguirlo in questura. I due si alzano dal tavolo ed estraggono fulmineamente le pistole. Il poliziotto viene disarmato, ma cerca di spaventare i due delinquenti con un bluff: "Fuori è pieno di poliziotti, dove sperate di andare?". Per tutta risposta Ranuzzi gli tira un violento pugno in faccia e scappa insieme a Casaroli. Nell'androne i due incontrano l'agente Tesoro e lo ammazzano con due colpi al cuore, poi si impadroniscono della sua pistola e continuano la fuga in strada. Giancarlo Tonelli si è riavuto in pochi istanti, è disarmato, ma non esita a lanciarsi all'inseguimento: una pallottola all'inguine lo ferma, ma ha ancora la forza di gridare: "Fermateli! Sono i banditi di Roma! Assassini!".

   Gli spari e le grida hanno attirato l'attenzione di molti passanti; Casaroli e Ranuzzi, entrambi con due pistole in pugno, imboccano di corsa la via Remorsella, una laterale che porta sulla centralissima via Santo Stefano. Ora echeggiano altri spari: carabinieri, poliziotti e vigili urbani sono all'inseguimento dei due banditi, che tentano un'impossibile fuga saltando in corsa su un tram e ingiungendo al manovratore di accelerare. Questi, Gaetano Cotti, dimostrando un sangue freddo non comune, rallenta e i due allora saltano giù, corrono verso un parcheggio di taxi. Un commerciante, Mario Chiari, ex brigadiere dei carabinieri, tenta di fermarli gettando tra le loro gambe la bicicletta e viene freddato all'istante. Ormai Casaroli e Ranuzzi hanno completamente perso la testa. Uccidono anche un tassista, Antonio Morselli, che anziché caricarli sulla propria vettura era fuggito spaventato. Tallonati ormai da vicino dai tutori dell'ordine, i due folli pistoleri, dopo aver ferito il vigile urbano Luigi Zedda, che aveva puntato contro di loro la pistola, cercano di impadronirsi di una giardinetta di passaggio: ma la donna che è alla guida si spaventa, va a finire contro una delle colonne dei portici, e l'auto è inutilizzabile. Allora i due criminali bloccano un'Ardea, con a bordo due medici, i dottori Azzolini e Possati. Azzolini, alla guida, viene strappato fuori dall'auto, ma Casaroli e Ranuzzi non sono più in grado di connettere: non si accorgono che Azzolini ha la prontezza di estrarre le chiavi dal cruscotto, mentre Possati, spaventato, si lascia scivolare davanti al sedile di destra. Casaroli balza al posto di guida, Ranuzzi apre la portiera posteriore, e proprio in quel momento un proiettile lo raggiunge all'addome. Come riferirà poi il dottor Possati, Romano il bello si accascia sul divano posteriore dell'Ardea, dice freddamente: "Ciao, Paolo", poi si spara un colpo in testa. Casaroli si rende conto che non può avviare l'auto, e ne esce di corsa, sparando a casaccio, ma ormai il cerchio degli uomini della legge si è stretto: una diecina di colpi lo raggiungono e stramazza al suolo. Sono le ore 13.55; la follia ha imperversato per un quarto d'ora, solo un quarto d'ora, che è sembrato eterno. Ora è tutto finito, con un bilancio tragico: tre morti ammazzati, un suicida, due feriti gravi (il poliziotto Tonelli e il vigile Zedda) e Casaroli che giace sull'asfalto; sembra morto, e questa è la voce che subito circola per Bologna e viene anche pubblicata per errore da un giornale del pomeriggio. Ma è ancora vivo, nessuno dei colpi che lo hanno raggiunto era mortale. Viene ricoverato in ospedale, nella stessa corsia in cui si trova l'agente di polizia Giancarlo Tonelli.

   E Daniele Farris? Dalla sua stanza nel sottotetto aveva sentito i primi spari, era sceso in strada, confuso tra la folla; anche a lui erano giunte le voci che i due folli pistoleri erano Ranuzzi, che si era sparato, e Casaroli, che era stato ucciso dalla polizia. Per Farris crolla tutto.

   Alle ore 20 di quel tragico sabato, nel cinema Manzoni di Bologna, viene interrotta la proiezione e si accendono le luci. Si è udito uno sparo. In una poltrona di galleria c'è un giovanotto con la camicia macchiata di sangue. E' morto, stringe ancora in pugno una pistola. La polizia gli trova in tasca una carta d'identità falsa, intestata a Giuseppe Raspadori, di anni 30, e un biglietto: "La faccio finita, non per paura o vigliaccheria, ma solo perché ho il rimorso di non essere stato vicino ai miei amici e specialmente a Paolo nella sua ora estrema. Non mi pento di nulla, ho fatto tutto ciò che volevo. Paolo, mantengo la promessa, ti seguo". Non ci volle molto a scoprire che il sedicente Raspadori era in realtà Daniele Farris, che, convinto della morte di Casaroli, si era tolto la vita."